Mese: Aprile 2018

Abbatte

Abbatte v.t. = Abbattere, demolire; sconfiggere; pulsare

Abbattere, nel senso di eliminare ostacoli:

Stöve ‘una felére d’àreve e l’hanne abbattüte = C’era una fila di alberi e li hanno eliminati.

Hanne abbattute ‘u tramjizze = Hanno demolito il muro divisorio.

Abbattere nel significato di sconfiggere:

Tu m’abbatte a me? = Sei capace di sconfiggermi nella lotta?

Uh, Madonne, ce so accucchjéte jùmene e dònne, vulèvene abbàtte a Mambredònje (canto popolare) = Oh, Madonna, si sono uniti uomini e donne, volevano distruggere Manfredonia.

Tènghe ‘nu delore de dènte: e cume m’abbatte! = Ho un dolore di denti: come mi pulsa! Cioè il dolore si acuisce e diminuisce ritmicamente, ad ogni battito cardiaco.

Abbàtte ‘a fianghètte = Il fianco bussa. Avvertire forti stimoli di fame.

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Abbaste ca

Abbàste ca cong. = Purché

Purché, con valore condizionale significa: a patto che, a condizione che.

Mò te la ‘mbrèste a bececlètte, abbàste ca me la pùrte jògge = Ora te la presto la bicicletta, purché me la riporti nel pomeriggio.

Jéte au cìneme, abbaste ca turnéte sóbbete = Andate pure al cinema, a patto che rientriate presto.

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Abbaséte

Abbaséte agg = Sensato, serio

Riferito a persona corretta, responsabile, sensata.

Sepònde, sjinde a me! Códde jì ‘nu crestjéne abbaséte, jüje ‘u canòsce…= Sipontina, dammi retta! Costui è una persona sensata (dai retti principi, responsabile e serio), io lo conosco…

Se si tratta di una ragazza, si dice anche aggarbéte = garbata, in senso lato, positivo.

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Abbasce-Culìcchje

Abbasce-Culìcchje top. = Zona Boccolicchio

Il toponimo indica la parte dell’abitato di Via Maddalena e relative traverse, da Piazza Marconi all’incrocio con Via Campanile. Talvolta si usa dire Abbasce-u-culìcchje

Il prevalenza nel secolo scorso era popolata da pescatori, data la prossimità del mare, facilmente raggiungibile.

Alcune sue abitazioni a piano terra, costruite nel sec. XVII direttamente sugli scogli, sono tuttora dotate di acqua corrente attinta attraverso un pozzetto, dalla sorgente di acqua salmastra che corre al di sotto della loro pavimentazione fino al mare.

L’acqua corrente a quell’epoca non esisteva nemmeno nelle case dei notabili locali, che usavano l’acqua piovana accumulata nelle consuete fangose cisterne.

Erroneamente era ritenuto fino agli anni ’50 un quartiere povero e malfamato, abitato da tipi poco raccomandabili, una specie di ghetto, di banlieu, di bassifondi.

Etimologicamente deriva da vùcchele = vicolo.
Quindi vucculìcchje, vicoletto, nel corso degli anni si è pronunciato in forma contratta in culìcchje fino ai giorni nostri.
E nessun Manfredoniano, sapendo bene di che si tratta, si è mai sognato di tradurre  culìcchje in “culetto…”

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Abbasce-a-mére

Abbasce-a-mére topon. = Lungomare

Va bene anche scritto Abbascia-mére

Questo toponimo identifica una delle quattro zone in cui idealmente si suddivideva la città di Manfredonia (oltre a Söpe-a-Trjüne, Före-a-Porte e Mundìcchje).

Praticamente è tutta la fascia costiera a ridosso dell’abitato, anche in questo versante una volta cinto di mura, dal Torrione del Fico al Castello.

Le mura di cinta avevano una porta di accesso all’altezza di Via Campanile, chiamata Porta Boccolicchio.
Questa fu abbattuta a fine 1800 per consentire la costruzione della scuola Bozzelli, inaugurata nel 1903.
La Porta Boccolicchio è qui ripresa in una Foto dell’epoca dai F.lli Alinari di Firenze. Altri hanno  attribuito la foto al nostro  locale  pioniere fotografo Valente. Nel dubbio ho citato entrambi i presunti artisti che ci hanno comunque ci hanno tramandato un ricordo storico per rammentarci l’avvenuto scempio.

Un altro varco  è il notissimo Pertüse-u-mòneche= Foro, breccia, apertura del monaco, forse perché in corrispondenza del Convento dei Francescani.

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Abbacàrece

Abbacàrece v.i.= Affievolirsi

Riferito specificamente agli agenti atmosferici indica un calo della loro intensità: c’jì abbachéte ‘u vjinde = si è calmato il vento.

Il verbo deriva dal greco αβαΧ∈ω (abacheo) = stare quieto, fermo.
Credo che la stessa radice valga per (clicca→) abbendàrece.

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Ammègghje-ammègghje

Ammègghje-ammègghje loc.id. = Pienamente, intensamente, a tutto spiano.

La locuzione vuol evidenziare il carattere di continuità di un’azione, di una circostanza, anche se ci si sarebbe aspettato un andamento diverso.

Ammìzz’a chjazze stèvene sunànne a mègghje a mègghje = In piazza stavano facendo musica (nonostante l’ora tarda).

Nüje stèmme pronde e jèsse durmöve a mègghje a mègghje = Noi eravamo pronti e lei dormiva profondamente (senza ricordarsi dell’appuntamento dato).

Stànne a mègghje a mègghje söpe ‘a spiagge = Ci sono moltissimi bagnanti in spiaggia (nonostante il tempo incerto)

Il lettore Enzo Renato, che ringrazio per il suggerimento, cita l’espressione: ai mègghje ai mègghje.

Si cita questa locuzione, leggermente diversa, per indicare il fior fiore, l’élite, i migliori, la cima, i più evidenti, di un insieme di persone, di un mucchio di cibarie, ecc.

Ci ò capéte ai megghje ai mègghje = Si è scelto i migliori (collaboratori, o anche carciofi, tagli di carne, pesci, ecc.)

 

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Àngeca töje (all’)

Àngeca töje (all’) loc.id. = All’anima tua!

È un benevolo rimprovero verso qlcn che ha sbagliato o che si è lasciato sfuggire una ghiotta occasione per migliorarsi o per trarne vantaggio.

Un po’ un eufemismo, senza significato perché àngeca simula “anima”.

L’imprecazione più cruda mannagghja a ttè! = maledizione a te!, esprime impazienza, contrarietà, stizza, disappunto. Invece quando si usa quell’àngeca che ha un suono simile, ma che non è proprio àneme si vuole imprimere al rimprovero un senso di delicatezza e affetto.
Come quando si dice mannàgghje a chitennósse invece dell’offensivo mannagghje a chitemmùrte, o per non essere addirittura blasfemi di dice “mannàgghje alla Majèlla”.

L’interiezione all’àngeca töje può coniugarsi al plurale:
A l’àngeca vostre! = Accidenti a voi
Mannagghje a chivennósse = Accidenti ai vostri cari.

Al plurale esiste la formula breve: Gghjachìve

Ma questa la conoscono solo i monelli, avvezzi alle marachelle,  quale invettiva dei malcapitati sfottuti.

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Bèlla ‘ndeniške (La)

Bella ‘ndeniške (‘a) s.f. = La bella odalisca

Negli anni ’30 la Mira Lanza lanciò la prima campagna pubblicitaria in Italia per la raccolta delle figurine a punti. Raggiunto un certo punteggio si aveva diritto ad un premio. Insomma un ingegnoso sistema di fidelizzazione tuttora in auge.
In quegli anni la Liebig e la Perugina-Buitoni avevano anch’esse sponsorizzate le loro figurine. Tutti ricordano l’introvabile ” feroce Saladino” della Perugina (vedi figura a lato)

Tra le varie figurine circolanti ce n’era una intitolata “La Bella Odalisca”. Siccome la descrizione è stata riportata “a orecchio” senza sapere bene di chi si trattasse, il fatto stesso che indicava una “bella” il pensiero associa a “bella-ggiòvene” intendendo una procace ragazza di facile abbordaggio.

Non c’è una spiegazione più plausibile.

Quindi la “Bella odalisca” diventa in dialetto presumo prima “‘a bèll’adelìsche” e poi ‘A bèlla ‘ndeniške.

Era usata dalle nostre nonne in modo canzonatorio: Avì, mo vöne ‘a bèlla ‘ndenìške = Eccola, ora viene la donna irresistibile, la bella fatalona.

Un po’ come quando paragonava qualcuna che si atteggiava in modo eccessivo alla (clicca→)Regina Caitù.

Ringrazio Tonia Trimigno per l’imbeccata recepita da sua madre, la lettrice Angela la Torre che si è premurata addirittura di interpellare il poeta Franco Pinto, e Franco Zerulo per la chicca finale delle figurine Mira Lanza.

Questa è la dimostrazione lampante di come funziona questa pagina. Grazie alla collaborazione di tutti.

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ORTOGRAFIA E FONOLOGIA

ORTOGRAFIA E FONOLOGIA DEL DIALETTO MANFREDONIANO

QUESTO STESSO ARTICOLO SI TROVA SULLA HOME-PAGE. TUTTAVIA HO PREFERITO INSERIRLO NELLA CATEGORIA “GRAMMATICA” SOLO PER FACILITA’ DI CONSULTAZIONE.

CONSONANTI

Le consonanti si scrivono e si pronunciano tutte come nella lingua italiana
b, c (che chi) d, e, f, g (ghe ghi,) h, l, m, n, p, q, r, s, t, v, z.

Per rappresentare alcuni suoni, l’italiano ricorre a digrammi o trigrammi (sequenza di grafemi per rappresentare fonemi). Faccio più presto se mi esprimo con esempi:

– digramma:
1) “ch”, davanti a e o alla i per il suono duro (chiesa, ghiro)
2 “gn”,rappresentato nell’alfabeto fonetico internazionale dal fonema [ɲ] (agnello/a[ɲ]ello)

– trigramma:
1) “gli”, rappresentato nell’alfabeto fonetico internazionale dal fonema [ʎ]. (figlio/fi[ʎ]o).
2) “sci”, rappresentato nell’alfabeto fonetico internazionale dal fonema [ʃ]. (sciabola/[ʃ]abola).
3) “chj”, molto caratteristico nel nostro dialetto: fate attenzione alla differenza di pronuncia fra il suono anteriore della parola chjéve = chiave, e stucchié = stuccare: il primo ha un suono “anteriore”, alveolare mentre l’altro è “posteriore”, come chése, cavàllechecòzze, ecc., rappresentabile anche con la semplice ‘k’.
È maggiormente avvertita questa differenza di suono se leggiamo in italiano ‘chiacchiere morte’ e con lo stesso significato, ma con grafia diversa il nostro chjacchjere morte

Il digramma “sc” (di scena) ha un discorso particolare.  Per quest’ultimo suono ho preferito ricorrere al segno diacritico (accento circonflesso contrario) sulla lettera s (š), più semplice da ottenere sulla testiera (alt+0154). Lo adopero solo nel suono šk di schiaffo (škàffe).

Il nostro dialetto a volte chiede una doppio “sce”: ho scritto “sciàbbele”, come l’italiano sciabola. Ma se devo dire rebbuscéte, credo che venga meglio rappresentato da rebbu[ʃʃ]ète o da rebbuššéte.
Siccome non voglio ricorrere al pur comodo Alfabeto fonetico internazionale, quando occorra andrò ad usare la doppia sce (šš) (peššacchje, càšše = pipì, cassa).

VOCALI

Scriviamo ora ciascuna vocale e spieghiamo la corretta pronuncia:

– “a” (con o senza accento) – ha suono anteriore aperto (italiano: mamma, chiamare)
– “é” (con accento acuto) – ha suono anteriore semichiuso (céro, stélo, védére, témére)
– “è” (con accento grave) – ha suono anteriore semiaperto (èrba, cèlèrè, vènto)
– “e” (senza accento) – ha suono neutro, indistinto, che ha la funzione importante di formare sillaba con la consonante che la precede; si trova indifferentemente nel mezzo o in fine della parola, ma mai all’inizio, e non è mai accentata.

Se scrivo in dialetto “pmdor” non è facilmente leggibile o comprensibile. Se invece scrivo “pemedöre, (sillabando: pe-me-dö-re) è decisamente più chiaro.

Altri esempi: l’illeggibile “ccnill”. Meglio “cecenille” (sillabando ce-ce-nil-le) = pesce bianchetto; se scrivo “pacc” devo disambiguare tra “pac-ce” = pazzo/a e “pac-che” = pacco/chi, e natica/che.

– “i” (senza accento) – ha suono anteriore più chiuso e lungo (filo, vicino, mattino)
– “ì” (con accento) – ha suono anteriore meno chiuso e più breve (bìrìllo, stàtte cìtte!)
– “j” – semivocale anteriore, unito spesso ad altra vocale (rasojo, stuoja)
. “Ï”(con la dieresi) – suono neutro, si scrive al posto della “e” muta quando il termine italiano corrispondente richiede la “i“ (varrïle = barile). Per comodità di tastiera spesso ricorro all’omofono “ü“, con lo stesso suono (varrüle)
– “ò” (con accento grave o senza accento) – ha suono posteriore semi-aperto (galoppo, sciocco, pioppo, sport)
– “ó” (con accento acuto) – ha suono posteriore semi-chiuso (amóre, nazióne, colóre), o anche con chiusura più marcata, come il francese ‘eau’ ( ‘uaglió; ‘u pózze; ‘u pepedègne rósse, ‘a palla ròsse = ragazzo; il pozzo: il peperone rosso, la palla rossa): notare la differenza di suono fra le varie “o” tra il maschile e il femminile dell’aggettivo rosso/rossa
– “ö” (con dieresi) – ha suono posteriore inesistente in italiano, uguale al tedesco “ö”(omofono del dittongo oe) e al dittongo francese “oeu” (dialetto: alla söre de Mattöje c’jì rótte ‘nu pöte, ma mò stè bböne= Alla sorella di Matteo si è rotto un piede, ma adesso sta bene)
-“ù” (con o senza accento) – ha suono posteriore, chiuso (fumo, notturno, più)
– “ü” (con la dieresi) – Suono simile alla u francese o lombarda, ma meno anteriore (‘a lüne, ‘u petrusüne = la luna, il prezzemolo)

VOCALI, fonologia

Molte parole che iniziano in italiano con la vocale ‘a’, ‘e’, ‘o’ ‘u’ prendono nel dialetto la semivocale ‘j’ come avviene, per esempio, nei seguenti casi:

  • Abitare = javeté o javetéje
  • Alzare = javezé
  • Amaro = jamére
  • Aprire = japrì
  • Ardere = jàrde
  • Essa/esso = jèsse/jìsse
  • Esco =jèsse
  • Essere = jèsse
  • Oggi = jogge
  • Ordinare = jurdené
  • Umido = jómede
  • Ungere = jònge
  • Unto = jónde ( o jungiüte)
  • Uomo = jöme

DITTONGHI, fonologia

Le parole che derivano dai termini italiani con il dittongo “ie” (es. barbiere) prendono un suono di “i” con durata maggiore, rappresentata da “ji”. Infatti in italiano la vocale tonica “i” di “partì” è breve,mentre quella di “partire” è lunga, come se si dicesse “partiire”:

  • Barbiere =varvjire
  • Bicchiere = bucchjire
  • Giardiniere = giardenjire
  • Carabiniere = carabbenjire
  • Infermiere =‘nfermjire

CONSONANTI, fonologia

Alcune consonanti dei vocaboli italiani nel dialetto subiscono cambiamenti fonetici:

1 – La ‘b’ si cambia in ‘v’ (per l’influenza della lingua spagnola nella parlata del sud Italia)

  • Barba = vàreve o vàrve
  • Barca = vàrche
  • Barbiere = varevjìre
  • Brecciame = vreccéme
  • Bevuta = vèvete(taluni dicono bevüte)
  • Brache = vréche
  • Bocca = vocche
  • Bue = vöve
  • Braciere = vràscjìre
  • Bosco = Vosche

2 – La doppia ‘cc’ diventa doppia ‘zz

  • Acciaio = azzére
  • Abbraccio = abbràzze
  • Braccio = vràzze
  • Laccio =làzze
  • Carroccio =carrùzze
  • Feccia = fèzze

3 – La ‘g’ spesso diventa ‘j’, o addirittura cade quando è seguita da due vocali:

  • Gamba = jamme
  • Gatto = jatte
  • Guanto = uande
  • Guastare = uasté
  • Guerra = uèrre
  • Finimenti = uarnemìnde
  • Guardare = uardé
  • Guadagnare = uadagné

4 – Il suono ‘gli’ diventa ‘gghje’

  • Figlio = figghje
  • Famiglia = famigghje
  • Aglio = àgghje
  • Scoglio = scùgghje
  • Bisceglie = Vescègghje
  • Imbroglio = ‘mbrugghje
  • Ciglia = cigghje
  • Paglia = pagghje
  • Meglio = megghje
  • Pigliare = pigghjé
  • Ragliare = ragghjé
  • Bottiglia = buttìgghje

5 – La doppia ‘ll’ si trasforma in ‘dd’. Tuttavia la parlata moderna aborrisce quest’antica cadenza, forse ritenendola troppo rozza:

  • Cavallo = cavàdde/cavàlle
  • Capelli = capìdde/capìlle
  • Cappello = cappjidde cappjille
  • Martello = martjidde/martjille
  • Cipolla = cepodde/cepolle
  • Coltellata = curteddéte
  • Fetta = fèdde/fèlle
  • Gallina = jaddüne/jallüne
  • Pollaio = jaddenére (usato tuttora)

Curiosità linguistica: per dire “due barili”, pronunciamo düje varrüle. Ma se vogliamo indicarne uno solo, la consonante iniziale cambia: ‘nu uarrüle = un barile.    Altro esempio; ‘i varlére = i  barilai, i bottai. Con l’articolo diventa  ‘u uarlére = il bottaio, il barilaio. Notissimo questo soprannome derivato dal mestiere.
Così tutte le parole che iniziano per “v”. So che questo fenomeno linguistico ha un nome specifico, ma adesso non lo ricordo…

6 – L’addolcimento di alcune consonanti, tipico dei dialetti meridionali, ha questi effetti fonetici:

6.1. ‘nt’ in ‘nd’
• Quaranta = quarande
• Contento = cundènde
• Cantare = candé
• Tanto = tànde
• Niente = njinde

6.2. ‘nc’ in ‘ng’

  • Incantare = ‘ngandé
  • Vincere = vènge
  • Incenso = ‘ngjinze
  • In capo = ‘nghépe
  • In culo = ‘ngule

6.3. ‘nd’ in ‘nn’
• Quando = quanne
• Venendo = venènne
• Sentendo = sendènne

6.4. ‘mp’ in ‘mb’
• Sempre = sèmbe
• Campare = cambé
• Campanella = cambanella

6.5. ‘ns in ‘nz’
• Insalata = ‘nzaléte
• Insieme = ‘nzimbre
• In sogno = ‘nzunne

6.6. ‘pia’ in ‘chja’ (la ‘p’ seguita da dittongo cambia in ‘chj’)
• Pianura = chjanüre
• Pianelle = chianille
• Piangere = chjànge
• Pianto/a = chiànde
• Piazza = chjàzze
• Piove = chjöve
• Piombo = chjómme
• Pioppo = chjùppe
• Pieno = chjüne
• Pialla = chianùzze

6.7 ‘nf’ in ‘mb’ (tipico manfredoniano)
• Manfredonia = Mambredònje
• Confetto = cumbìtte
• In fronte = ‘mbrònde
• In faccia= ‘mbàcce
• Confessare = cumbessé

DESINENZE, fonologia

1 . Tutte le parole che in italiano finiscono in;
“-aio”,
“-iere”;
“-ore”

generalmente si riferiscono a professioni e mestieri, da noi si pronunciano “-ére”,  “-jìre” e “-öre”.

  • Fornaio = furnére
  • Infermiere = ‘nfermjire
  • Beccaio = vuccjire
  • Notaio = nutére
  • Fabbro-ferraio = ferrére
  • Carradore = maste-carrjìre
  • Cocchiere = cucchjìre
  • Parrucchiere = parrucchjìre
  • Sellaio = sellére
  • Muratore = frabbecatöre
  •  Ingegnere = ‘ngegnjire
  • Dottore = dottöre
  • Professore = professöre
  • Lattaio = lattére
  • Portinaio = purtenére
  • Furiere = furjìre
  1. Tutte le parole che in italiano terminano con la à (accentata), mantengono questa desinenza anche nel dialetto
  • Carità = caretà
  • Acidità = acedetà
  • Comodità = cummedetà
  • Novità = nuvetà
  1. Tutte le desinenze degli aggettivi, participi passati e sostantivi in “-ato” e “-ata” suonano “-éte”; quelle in “-uto” terminano in “-üte”.
  • Suonato = sunéte
    • Mangiato = mangéte
    • Giocato = juchéte
    • Nottata = nuttéte
    • Venuto = Venüte
  1. Le parole che in italiano hanno l’accento tonico sulla vocale “a”’ in genere, si leggono in “é”.
    Questa è una caratteristica specificatamente PUGLIESE.

Esempi:

  • Mangiate = mangéte
  • Mano = méne
  • Mare = mére
  • Aratro = aréte
  • Montanaro = Mundanére
  • Sbarcato = sbarchéte

Tuttavia bisogna dire che nel nostro dialetto la vocale tonica “a”, quando è seguita da due o più consonanti, si pronuncia come in Italiano (es. spàcche, tàgghje, scàrpe, söpatàcche, fàcce, cumbàgne, fànghe, ecc)

  • Campana = cambéne (ma “campagna” è cambàgne)
  • Cane = chéne (ma “canna” è cànne)
  • Casa = chése (ma “cassa” è càsce)
  • Papa = Pépe (ma “pappa” è  pappe)
  • Pane = péne (ma “panno” è pànne)
  1. Nel dialetto manfredoniano si verifica talvolta il fenomeno di metàtesi. Scusate la brutta parola… sembra una malattia!
    Semplicemente si tratta di spostamento di una consonante nel corpo della parola. I ragazzi ora hanno frequentato tutti la scuola dell’obbligo, e perciò hanno abbandonato spontaneamente questa caratteristica ovviamente dovuta all’ignoranza atavica. Difficilmente si sentono al giorno d’oggi strafalcioni come questi:
  • Fabrizio =Frabbìzzje
  • Firmare = fremmé
  • Capra = crépe
  • Fegato = fèdeghe
  • Quattordici = Quartòdece
  • Permanente = Premmanènde

Altri termini sono comunque ben radicati dall’uso, e dobbiamo perciò accettarli così come sono:

  • Fabbricare = frabbeché
  • Storpiare = struppjé
  • Pietra = pröte
  • Formaggio = frummàgge (dal francese “fromage”)
  1. Talvolta per la combinazione del suono ’sce’ [ scritto in inglese “sh”, in francese “ch” in tedesco “sch” ] con la k (’c’ di casa) in termini come schiaffo, schietto, io per non lasciare dubbi (scrivo shkàffe ?, shchètte? Shchitte) ricorro convenzionalmente al segno š– usato abitualmente in alcune lingue nordiche e slave: un esempio per tutti le automobili Škoda  –  e scrivere škaffe, škètte, škìtte.

 ATTENZIONE 

Volendo scrivere il dialetto è indispensabile ricorrere a segni speciali che la normale tastiera in uso ai nostri computer non contiene: allora bisogna ricorrere al “trucchetto” di usare il tasto ALT, e tenendolo premuto, digitare una serie di quattro cifre. Con questo “metodo”, togliendo le mani dalla tastiera sullo schermo compare il segno voluto.

Ho preparato una tabella. Copiatela e incollatela su un nuovo documento di testo del vostro desktop perché sono certo che vi tornerà utile:

  • È = Alt+0200
  • È = Alt+ 0201
  • é = Alt+0233 (o Maiuscolo + è)
  • ï = Alt+0239
  • Ï = Alt+0207
  • ö = Alt+0246
  • ó = Alt+0243
  • ü = Alt+0252
  • Ü = Alt+0220
  • Š = Alt+0138
  • š = Alt+0154
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