Categoria: C

Cummatte 

Cummatte v.i. = armeggiare, macchinare, brigare, trafficare, arrabattarsi.

Il verbo è riferito ad azioni manuali eseguite con pazienza, magari per hobby.
Stéche cummattènne ‘mbacce a ‘sta saracenèsche pe lué ‘a rózzene = Sto armeggiando su questa saracinesca per eliminare la ruggine.

Alla putöje de pàteme me piaciöve a cummatte, e pe quèste ca sacce fé = Nella bottega (di fabbro) di mio padre mi piaceva armeggiare (con i suoi attrezzi) e grazie a questo ho acquisito una certa manualità.

Il verbo ha anche un altro significato, spesso coniugato in forma negativa, quando è riferito a rapporti fra persone.
Pe cèrta ggènde nen vulüme cummatte = Con certa gente non vogliamo avere nulla a che fare (perché si tratta di persone inaffidabili, o sozze, o ineducate, o perfide, o infime, o vendicative, ecc..).

‘Na volte ch’àmma cummatte p’i fèsse… = Ma che risultati speravate di ottenere, dal momento che siamo stati obbligati a fidarci di persone incapaci?

Nen vogghje cummatte cchjó pe ttè = Non voglio perdere più il mio tempo con te, perché sei irricuperabile, non apprendi nulla, sei disinteressato a questo lavoro che invece richiede dedizione ed applicazione.

Vabbè, il dialetto è sempre molto sintetico, ma la traduzione estesa rende meglio il concetto che si vuole esprimere.

Nota grammaticale.
Vi rammento che la preposizione “con” in dialetto si traduce sempre con “pe“.
Me piéce a pesché p’a canne (non ch’a canne, che suona cacànne, ma ha un altro significato…) = Mi piace pescare con la canna.
Parle pe mmè! = Parla con me!
Jì arrevéte p’u tröne = È arrivato con il treno.

La preposizione “per” si traduce ugualmente con “pe“.
Quatte pe quatte, sìdece = 4×4=16
‘Nu balle pe cchése = Un ballo per ogni casa. Se siete Manfredoniani sapete tutto di quest’antica tradizione carnevalesca ormai tramontata.
Jì partüte pe Röme = È partito per Roma.

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Cummèsse

Cummèsse s.inv.. = Commesso/a

Oltre al banale significato di dipendente di un’azienda commerciale addetto alla vendita, in dialetto intendiamo designare una persona ben più importante dal punto di vista professionale.

Si tratta dell’Informatore Scientifico, laureato in biologia o farmacia. L’Informatore Scientifico è un professionista che informa i Medici sui Farmaci. Illustra loro ogni aspetto di essi: Azione, Vantaggi e Controindicazioni. Li aggiorna sull’uscita di nuovi farmaci e porge notizie relative all’uso di quelli già in commercio qualora l’esperienza avesse portato nuovi studi su di essi (Wikipedia)

Quando facciamo la fila negli ambulatori medici, ogni tanto arriva questo signore e saltando la fila, entra nello studio del medico e causa brontolii. Errore! Lavora per la nostra salute.

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Cumöte

Cumöte s.f. = Aquilone

Struttura formata da due listerelle di canna palustre, una curvata ad archetto teso da un filo, per il sostegno orizzontale e l’altra diritta, verticale, ricoperta di carta, munita di lunga coda formata da anelli di carta concatenati (‘a cöte = la coda, o ‘a catenèlle).

La “cometa” (forse chiamata così, come il corpo celeste, a causa dalla lunga coda), tirata per gioco con uno spago contro vento, si può librare in aria e volteggiare.

Ai miei tempi, in assenza di nastro scotch che non era stato ancora inventato, per fissare la carta alla struttura di cannucce e per formare la coda con anelli di carta, si usava la colla di farina: un cucchiaio di farina e un cucchiaio di acqua. Si metteva tutto ad asciugare sotto il letto, cumöte, füle e cöte= aquilone, filo e coda.

In italiano è ammesso chiamare l’aquilone anche cometa e cervo volante.

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Cundassènze

Cundassènze s.f. = Culmine, fondamento, nocciolo di una questione, significato intimo, intrinseco. Anche nel senso di evento inusuale, eccezionale

I nostri nonni spesso ricorrevano a questo sostantivo, a mio parere bello, musicale, e talvolta pronunciavano quìndassènze.

Ho fatto qualche ricerca perché in italiano esiste il sostantivo ‘quintessenza’. Oltre che come termine di filosofia (che in questa sede non voglio e non so spiegare), esso designa una sostanza, un’essenza purissima, ottenuta mediante cinque distillazioni, che gli alchimisti ritenevano fosse la sostanza intima e fondamentale di un corpo. Quindi l’estratto, il succo della questione, quello che resta alla fin fine.

I nostri nonni inconsapevolmente la usavano in senso figurato per indicare l’elemento fondamentale, la caratteristica essenziale, l’intima natura l’anima, lo spirito, il cuore, il grado massimo di qualcosa.

Jà vedì pròprje ‘a cundassènze = Debbo vedere proprio l’epilogo, il finale.

Il grande Totò diceva: “Voglio proprio vedere dove vuole arrivare…”

Chiarisco che per la definizione di “quintessenza” mi sono avvalso del Vocabolario della lingua italiana on line. Io non sono professore e quindi non posseggo una ricchezza di termini così variegata.

Ringrazio l’amico lettore Michele Granatiero per il prezioso suggerimento di questo termine.

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Cundéle

Cundéle s.m. = Quintale

Nel sistema metrico decimale, unità di peso pari a 100 chilogrammi.

Veniva chiamato anche ‘u cjinde cüne = il cento chili

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Cüne

Cüne s.m. = Chilogrammo

Unità di misura si peso. Simbolo universale kg.

Multipli:
cundéle (cjinde cüne)

tunnelléte (djice cundéle)

Sottomultipli
Mjizze cüne = mezzo kg
‘na quarte = (un quarto) = 250 g
‘nu quìnde = (un quinto) = 200 g
mjizze quìnde = (mezzo quinto) = 100 g = un ettogrammo
cenguanda gramme = 50 g (mezzo etto).

Se una seppiolina pesa 350 g si dice ‘nu quinde e mjizze e cenguanda gramme (calcolo mentale rapido 200+100+50)

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Cungètte 

Cungètte n.p. = Concetta

Deriva dal participio perfetto concepta del verbo latino concipere, “concepire”, e quindi “concepita” (sine labe originalis concepta = concepita senza la macchia del peccato originale).
L’onomastico si festeggia l’8 dicembre in onore dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria.

Esistono tanti diminutivi e vezzeggiativi nel nostro dialetto:

Cungettüne, Cungettèlle, Cettèlle, Tettüne, Tettèlle.

Questo nome mi evoca una mitica sarta con uno stuolo di giovani allieve che imparavano il mestiere nel suo laboratorio….
Noi mosconi gironzolavamo attorno alla sua sartoria, puntando qualche bella figliola. Anche loro, senza farsi notare, osservavano e forbiciavano a occhi bassi.

Mi sovviene il ritornello di una canzona napoletana classica:
…Nun c’è bisogna ‘a zingara
per dduvinà, Cungè…
Comme t’ha fatte màmmeta,
‘o sàccio meglie ‘e te.

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Cunzarüje

Cunzarüje s.f. e top. = Conceria

1 – cunzarüje s.f. = conceria, stabilimento che si occupa della conciatura delle pelli degli animali per trasformale in cuoio.

2 – Cunzarüje = toponimo di Manfredonia che indica una zona costiera, caratterizzata da scogliera, che va dalla prima cala prospiciente l’Hotel Gargano e fino all’Acque de Crìste. Tutti sappiamo dov’è! Evidentemente in passato vi si conciavano le pelli, dato che l’abitato si fermava molto prima, diciamo prima di Via Pulsano (Chiusa di Ze Chìcchje) e Via Monfalcone.

Ricordo io che negli anni ’50 già arrivare in coppia alla Rotonda era considerato una trasgressione perché, quel luogo era appartato e fuori mano. Essendo frequentato da coppiette, era ritenuto un luogo di perdizione…

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Cunzé 

Cunzé v.t. = Condire, conciare

Nel primo caso vale per condire gli alimenti (la bruschetta con pomodoro,origano e olio, o l’insalata, o le orecchiette con il ragù e il pecorino grattugiato ecc.).

Nel secondo caso è riferito specificamente alla concia delle pelli.

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Cunzegné ‘i ròbbe

Cunzegné ‘i ròbbe loc.id. = Esporre il corredo

Era consuetudine che i futuri coniugi, ognuno nella propria abitazione, ostentassero biancheria e oggetti che avrebbero costituito la dotazione del loro nido.

Era motivo di orgoglio per la famiglia, specie quella della sposa, poter esporre “i robbe a vìnde” = il corredo a venti. Ossia 20 maglie, 20 mutande, 20 sottane, 20 canottiere, ecc.oltre alla coperta di raso, vero gioiello per la sposa, e alla trapunta (cuèrta ‘mbuttüte), al pentolame, au renéle al uaciüle.

Il servizio di piatti di solito lo si aspettava quale regalo di nozze dai parenti.

Si diponeva tutto coreograficamente, secondo il gusto di qlc commare che fungeva da arredatrice. Addirittura qlcu chiamava ” ‘a crestjéne” = la persona (specializzata) a disporre degnamente la roba.

I parenti, opportunamenti avvertiti dell’esposizione, venivano in visita, lasciavano il regalo e la conferma della loro partecipazione al festino.

Si offrivano confettini, pizzarelle, e rosolio. Qualche spiritoso invece del bicchierino, si faceva versare il liquore dentro il “pisciatüre” (nuovo di zecca e mai usato, spero).

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